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Sempre su Fidel.....dal Corriere

Autore: birramoretti
Email: il gusto della sincerita'
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Date: 19/02/2008
Time: 14.50

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Con la rinuncia di Castro alla presidenza si avvia nell'isola un processo complicato La sfida è trasformare il sistema, a partire dall'economia, senza abbatterlo Cuba apre la transizione riforme ormai ineludibili di OMERO CIAI Fidel e Raul Castro Con la rinuncia di Fidel Castro, diciannove mesi dopo l'inizio di una malattia sulla quale vige tuttora il segreto di Stato, si apre ufficialmente a Cuba la transizione. Ora Fidel ha abdicato senza attendere la riunione, domenica prossima, del nuovo Consiglio di Stato cui spetta secondo la Costituzione la designazione del leader. E per la prima volta da 50 anni il presidente non potrà che essere un altro. Con ogni probabilità sarà suo fratello Raul (di appena cinque anni più giovane), che dall'estate del 2006 ha già assunto la carica ad interim, il nuovo presidente votato dal Consiglio di Stato. Ma è anche abbastanza probabile che le poltrone del potere, fino ad oggi accumulate nella persona di Fidel (Stato, governo, partito comunista, Forze armate) vengano redistribuite consolidando una gestione più collegiale che si è andata disegnando negli ultimi mesi. Ma con l'abdicazione del comandante en jefe si rompe anche quel limbo nel quale l'isola ha vissuto questi ultimi due anni e che ha consentito alla più alta nomenklatura di non scegliere o di scegliere il meno possibile con la scusa che l'immobilismo era determinato dalla presenza di Fidel, non più leader assoluto ma ancora in grado, in qualsiasi momento, di riprendersi tutto il potere. Ora la sfida dei successori sarà quella di conservare il regime, di proiettarlo nel futuro senza l'ingrombrante presenza del fondatore. E le riforme, tante volte promesse da Raul e dai generali che formano il suo più stretto nucleo di comando, non potranno più essere rinviate. Sulla carta a Raul spetta il difficilissimo compito (quello che non riuscì a Gorbaciov) di riformare il sistema senza abbatterlo: da una parte deve conservare il regime così com'è mentre dall'altra deve convincere (possibilmente con le buone) i cubani che in questo regime possono sopravvivere e svilupparsi. I nodi da sciogliere riguardano tutti "l'uscita dal socialismo" e l'approdo ad un altro sistema (capitalismo di Stato alla cinese?) che consenta alla popolazione di vivere meglio. Così per prima cosa il nuovo presidente dovrà ridurre la dipendenza dell'economia dal petrolio di Chavez e dalle rimesse in dollari degli esuli che vivono all'estero. Dovrà cioè far ripartire l'economia interna e convincere la popolazione a lavorare per un salario (magari in dollari e non più in pesos) che ne valga la pena. Quindi le prime riforme dovranno riguardare il commercio e la possibilità di lavorare in proprio slacciando produzione e distribuizione dalla statalizzazione. Un primo gesto simbolico potrebbe essere l'abolizione della "libreta", la famosa tessera di razionamento, grazie alla quale lo Stato consegna beni di prima necessità (farina, riso, pollo, pane) alle famiglie: una formula di distribuzione ormai inefficiente da molto tempo. Poi ci sono il divieto di uscire ed entrare sull'isola, i diritti umani (ossia la possibilità di pensarla diversamente dal potere) o la proibizione di usare gli alberghi e le spiagge destinati solo ai turisti. Infine la riconciliazione. Negli Usa ci sono alcuni milioni di esuli cubani che avranno certamente un peso nel futuro e, tra pochi mesi, alla Casa Bianca potrebbe esserci un uomo (Obama) o una donna (Hillary) che con la loro politica potrebbero anche accompagnare positivamente una lenta apertura del regime a Cuba. (19 febbraio 2008)


Ultimo aggiornamento: 01-03-08